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Festival Cinema Venezia 2009: recensioni film, interviste

 
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America e sinistra italiana in pezzi,
la videocrazia: Venezia gioca pesante

di Boris Sollazzo

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3 settembre 2009

Giornata bella e intensa la seconda del 66° Festival di Venezia. Molta politica, riflessione etica e sociale, tre film profondamente diversi sembrano seguire un filo rosso di impegno e critica sociale e morale. Che sia l'indipendente e geniale Todd Solondz che con il surreale e profondo Life during wartime ha strappato applausi convinti persino alla proiezione per la stampa (di solito molto fredda), l'italo-svedese Erik Gandini alle prese con la telecrazia che da 30 anni si impone in Italia con l'etica e l'estetica della tv commerciale, oppure, infine, Citto Maselli che, tra salotti bene e centri sociali, fotografa la crisi morale della sinistra italiana.

Life during wartime - Concorso
Era uno degli autori su cui si puntava di più nei pronostici pre-festival e in effetti Todd Solondz non ha tradito: struggente, dolce, divertente e surreale il suo ritorno alla macchina da presa, seguito ideale, e non solo, di Happiness e profonda riflessione sull'America di oggi attraverso la lente di borghesi piccoli piccoli tra la Florida e la California, classe sociale in declino economico e individuale dopo lo tsunami Bush, adeguatamente preso in giro dal regista con dialoghi al vetriolo. Una famiglia ebreo-americana- "sa che Bush è uno stupido- dice la sorella maggiore del suo nuovo maturo fidanzato- ma l'ha votato perché è pro Israele"-, tre donne irrisolte e in cerca di perdono sono il centro di un puzzle di emozioni e impietosi ritratti umani. Una ha tre figli e un marito pedofilo appena uscito di prigione (Allison Janney), l'altra il non invidiabile talento di indurre al suicidio i suoi fidanzati (Shirley Henderson), l'ultima (Ally Sheedy) è fuggita (come darle torto?) e vive il suo successo di poetessa e sceneggiatrice in un mausoleo-prigione dorata. Attorno a loro si muovono personaggi buffi e improbabili, vite malinconiche e depresse, pregiudizi e ipocrisie. Solondz le mostra con il suo nichilismo beffardo e tenero, fino a un cameo di Charlotte Rampling che si mette letteralmente a nudo e rappresenta uno dei tanti mostri normali (e involontari) della nostra società. Se un limite possiamo trovare a questo film, è che possono amarlo e capirlo fino in fondo solo coloro che apprezzano la cinematografia del regista di Fuga dalla scuola media: un genio orgogliosamente incompreso da molti, sottovalutato da altri. La sua America rimane dentro, graffia.
Voto: 8

Videocracy - Evento speciale Giornate degli Autori/Settimana della critica
Di questo film sentiamo parlare da tanto tempo. Interviste a pioggia, censure, non ci siamo fatti mancare niente. Ora finalmente scopriamo il tanto temuto documentario di un emigrante di lusso, Erik Gandini, che con il suo cinema del reale ha già raccontato Che Guevara, Bosnia e Guantanamo. E che ora torna al suo paese per mostrare l'era berlusconiana, il suo "trentennio", quella che chiama, con un titolo efficace ed essenziale, videocrazia. In meno di un'ora e mezza invece di scagliarsi ferocemente e faziosamente contro il premier, in un pamphlet catartico come molti hanno già fatto, mostra le perversioni di un sistema attraverso i suoi sintomi più gravi: giovani donne tristi valutate come a un mercato bovino nei provini per aspiranti veline, un ragazzo, un operaio, tanto drogato dalla tv da farne una ragione di vita, i ras della comunicazione attuale come Lele Mora e Fabrizio Corona. Partire dai piccoli ingranaggi per svelare i meccanismi di un potere politico, economico e culturale che si fonda sul piccolo schermo, su Berlusconi, certo, e sulla tv commerciale, ma anche e soprattutto su un paese che fin dal dopoguerra è stato stritolato da macchine propagandistiche (tele)visive pericolosissime, spesso eterodirette. Un film che più che recensito, va visto, per prendere consapevolezza e indignarsi, avendo l'abitudine degli orrori catodici (e i suoi derivati) che vediamo quotidianamente, annullato in molti di noi la coscienza critica. Un capolavoro nato per spiegare gli italiani agli stranieri. E ai molti italiani che, ormai, si sentono stranieri nel proprio paese.
Voto: 9

Le ombre rosse - Fuori concorso
Citto Maselli, chi si rivede. Settantotto anni, sessanta di cinema (da aiuto regista di grandissimi come Visconti a regista di lotta e di impegno), sei volte a Venezia, la prima volta a soli 18 anni. Torna Fuori concorso ma in quella sala Grande che continua, ancora oggi, a temere, e li mostrerà la crisi della sinistra con un'onestà disarmante, un'(auto)critica che vuole "restituire la complessità del momento difficile, non attaccare o cercare colpevoli, nel film, infatti, nessuno lo è".
Un intellettuale (Roberto Herlitzka) va in un centro sociale per parlare di "nuovi irrazionalismi" e trova una vitalità che non conosceva o forse, semplicemente, non ricordava. Lui, simbolo della sinistra di governo (il film è ambientato nel 2007, durante il governo di centrosinistra) è spesso considerato un reazionario, citando Malraux compara i centri sociali alle Case della cultura, diventando simbolo di un imprevedibile movimentismo. E se l'occhio e la messinscena su questi spazi occupati è un po' stilizzata e ingenua, quella del sistema dei salotti radical chic, televisivi e non, è invece puntuale e feroce. A parte il gioco dei rimandi al reale (c'è chi giura di aver riconosciuto la Rossanda in Lucia Poli e Fuksas in Ennio Fantistichini, ovvio che invece il tronfio Livornesi sia Veneziani), individua il distaccamento inquietante dell'intellighenzia di sinistra dal popolo a cui dovrebbe (ma da sempre non vorrebbe) parlare. Vengono visti, questi intellettuali di lotta e di governo, nelle loro debolezze, idiosincrasie, nei meccanismi che conoscono, disprezzano, ma non rifiutano. E così i ragazzi di "Cambiare il mondo" vengono stritolati dal potere che li schiaccia quando smettono di essere innocui e dagli alleati moderati che pensano di aiutarli con una strategia di egemonia e normalizzazione. Una bella riflessione che fa superare i problemi del film, soprattutto nell'edizione e in uno stile troppo classico e datato, bravi gli attori, Carnelutti, Lionello e Costantini su tutti, pur se penalizzati dall'assenza della presa diretta e dal ridoppiaggio. A volte, anche nel cinema, è importante cosa si dice, e non come.
  CONTINUA ...»

3 settembre 2009
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